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venerdì 5 febbraio 2016

Le Spoglie di San Padre Pio e san Leopoldo a roma San Pietro dal 5 Febbraio per chi desidera vederle e Pregare


Le spoglie dei due 'Santi della Misericordia' sono giunte a Roma mercoledì scorso e sono state esposte nella parrocchia di San Salvatore in Lauro. Proprio quando è terminata l'ostensione delle reliquie - in concomitanza con l'inizio della messa -, in tantissimi, che attendevano lungo via dei Coronari il proprio turno per l'ingresso, soni rimasti bloccati al varco. Molte le proteste e, a causa della folla, anche qualche lieve malore. Proprio approfittando di una transenna spostata per lasciare passare una donna che si era sentita male, alcuni fedeli sono riusciti a superare il blocco e ad avvicinarsi alla Chiesa seguendo la messa che si celebra all'aperto, sul sagrato.




Per gli altri l'attesa è durata oltre due ore tra canti religiosi e recite del rosario. Diversi i gruppi di preghiera di San Pio sono giunti da diverse regioni di Italia come Puglia e Sardegna. Tra i pellegrini anche numerosi gruppi giunti da Spagna e Polonia.




Ma i pellegrini hanno portato il loro omaggio ai due santi anche nel corso della notte. La chiesa - spiega l'organizzazione - è rimasta aperta sempre e il flusso di pellegrini, seppur ridotto rispetto a quello delle ore diurne, non è mai cessato.


Numerose le forze dell'ordine presenti per i controlli assieme a volontari di protezione civile e croce rossa.

Domani alle 10 in piazza San Pietro, Papa Francesco concederà un'udienza speciale agli aderenti dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio e ai dipendenti della Casa Sollievo della Sofferenza. Dal 7 al 9 febbraio le reliquie di Padre Pio e di San Leopoldo sono esposte nella Basilica di San Pietro per la venerazione dei fedeli. Infine il 10 febbraio, che coincide con il mercoledì delle Ceneri, sempre in San Pietro, si tiene alle 17 una solenne liturgia nella quale il Papa conferisce il mandato ai mille Missionari della Misericordia, sacerdoti indicati dai vescovi per una rinnovata e intensa pastorale delle confessioni durante il Giubileo.  L'11 febbraio alle 7.30 monsignor Fisichella presiede la celebrazione eucaristica prima della partenza delle reliquie verso le sedi di provenienza.



Padre Pio, folla e striscioni su autostrade: il racconto del viaggio verso Roma


sabato 26 dicembre 2015

Buon Santo Stefano

 
BUON SANTO STEFANO

Il 26 dicembre il calendario della Chiesa celebra la memoria di Santo Stefano, secondo la tradizione il primo martire cristiano venerato sia dai cristiani d’Oriente che da quelli d’Occidente. Per conoscere più da vicino questa esemplare figura di Santo, pubblichiamo il contributo proposto nelle sue pagine web dal sito www.aleteia.org.
Venerato come santo dalla Chiesa cattolica e ortodossa, Stefano è celebrato il 26 dicembre. Primo diacono addetto al servizio dei poveri e dei bisognosi e primo martire della storia, è un vero e autentico modello di santità che ci parla di Gesù e del suo mistero pasquale con intima e profonda convinzione. Invocato contro emicranie e malattie alla testa, tutto ciò che sappiamo di Stefano è tratto dal Nuovo Testamento. Purtroppo le sue origini restano molto problematiche e se ne ignora la provenienza. Il libro degli Atti degli Apostoli (capitoli 6 e 7), dà molto rilievo al martirio, ma non ne indica in nessun modo la data che, in ogni caso, è precedente alla conversione di San Paolo, testimone della lapidazione. D’altronde in quel tempo Gerusalemme è un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse. Se da un alto si suppone che sia greco poiché il suo nome significa “coronato”, dall’altro, s’ipotizza che sia un ebreo educato nella cultura ellenistica. Di sicuro, però, è uno dei primi giudei a diventare cristiano al seguito degli apostoli e, data la sua cultura e saggezza, attira attorno a sé tantissima gente, che lo stima e lo ammira. Quello che si afferma di lui con certezza è che la sua persona gode di una buona reputazione, fede e sapienza.
Al servizio dei poveri
La sua figura ci riporta agli albori del cristianesimo. La Chiesa, dopo la Pentecoste è in piena espansione. La comunità cristiana cresce di numero e spinge non solo a un impegno continuo e assiduo in opere di predicazione e di carità ma, soprattuto induce a una nuova organizzazione e distribuzione di compiti. Stefano s’inserisce in questo contesto caratterizzato dalle lamentele dei cristiani di origine ellenica che circolavano all’interno della comunità. I primi sintomi del malcontento si riferiscono alla distribuzione quotidiana del cibo tra i cristiani. Gli apostoli istituiscono subito per questo servizio il ministero dei diaconi. Tra i prescelti c’è Stefano, il più importante dei sette uomini proposti al servizio delle mense, la cui azione si estende anche alla predicazione. Nominato per primo, pieno di grazia e di fortezza, conquista le persone e parla con una sapienza irresistibile. Opera prodigi e segni grandi fra il popolo. Intelligente e capace, non si limita al lavoro amministrativo, ma predica soprattutto tra gli ebrei della diaspora, come i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell’Asia, che passano per la Città Santa e che egli guadagna numerosi alla fede in Gesù Cristo.
Verso il martirio
Stefano svolge l’apostolato con calore e passione. Ma la novità che porta, purtroppo suscita discussioni animate e reazioni contrastanti nelle sinagoghe. La sua è una vera rivoluzione d’amore che scompiglia le idee tradizionali sulla legge mosaica e sul valore attribuito al tempio di Gerusalemme. Accusato di bestemmia contro Mosé e contro Dio, è arrestato e condotto davanti al Sinedrio. Oratore ispirato e discepolo fedele, contempla la gloria del Risorto, ne proclama la divinità con un lungo e appassionato discorso davanti ai membri del consiglio, gli affida il suo spirito e perdona i suoi uccisori. E’ troppo, però, per chi ascolta, Stefano pronuncia parole forti e potenti che testimoniano, a costo della vita, la fede in Cristo e, proprio per questo, si celebra subito dopo la nascita di Gesù già a partire dal IV secolo. Martire esemplare, affronta con la forza della carità il supplizio e la lapidazione, e con gli stessi gesti e sentimenti di Gesù si affida al Padre nella preghiera e si abbandona fra il grandinare delle pietre, coperto di sangue.
L’espansione del Vangelo
Il martirio di Stefano segna il distacco evidente tra la Chiesa e la Sinagoga. Il suo sacrificio apre la strada a una massiccia persecuzione di cristiani, che emigrano verso altre città della Palestina e dei paesi circostanti. La loro fede è forte e la portano ad altri ebrei e ai pagani che sempre più numerosi aderiscono. Comunica adesso un fase nuova: il viaggio del Vangelo in direzione del mondo, dove il cristiano non si lega al tempio e al culto, ma muove da una gratuita iniziativa divina. La Chiesa, sempre più inserita nel mondo greco-romano, inizia così quell’opera straordinaria d’inculturazione del Vangelo, che sta alla base della nostra cultura

AUGURI A TUTTI GLI STEFANO :-)

domenica 4 ottobre 2015

San Francesco, parlava con gli animali ma non solo . Buon Onomastico Papa Francesco !

SAN  FRANCESCO  D'ASSIS

 




 Francesco nacque ad Assisi nel 1182, da Pietro di Bernardone, ricco mercante di stoffe preziose, e da Madonna Pica; la madre gli mise nome Giovanni; ma, tornato il padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare il figlio Francesco (FF1395). Prima della conversione il giovane Francesco fu partecipe della cultura "cortese-cavalleresca" del proprio secolo e delle ambizioni del proprio ceto sociale (la nascente borghesia).
Nel 1202, tra le fila degli homines populi, prese parte allo scontro di Collestrada con i perugini e i boni homines fuoriusciti assisani: Francesco fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia…Dopo un anno, tra Perugia e Assisi fu conclusa la pace, e Francesco rimpatriò insieme ai compagni di prigionia (FF 1398).
Decide allora di realizzare la sua aspirazione a diventare miles (cavaliere) e nel 1205 si unisce al conte Gentile, che partiva per la Puglia, onde essere da lui creato cavaliere (FF 1491). È a questo punto della vita di Francesco che iniziano i segni premonitori di un destino diverso da quello che lui aveva sognato. In viaggio verso la Puglia, giunto a Spoleto, a notte fatta si stese per dormire. E nel dormiveglia udì una voce interrogarlo: «Chi può meglio trattarti: il Signore o il servo?». Rispose: «Il Signore». Replicò la voce: «E allora perché abbandoni il Signore per il servo?» (FF 1492). L’indomani Francesco torna ad Assisi aspettando che Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà (FF 1401).
Trascorre circa un anno nella solitudine, nella preghiera, nel servizio ai lebbrosi, fino a rinunciare pubblicamente, nel 1206, all’eredità paterna nelle mani del vescovo Guido e assumendo, di conseguenza, la condizione canonica di penitente volontario. Francesco veste l’abito da eremita continuando a dedicarsi all’assistenza dei lebbrosi e al restauro materiale di alcune chiese in rovina del contado assisano dopo che a San Damiano aveva udito nuovamente la voce del Signore dirgli attraverso l’icona del Crocifisso: «Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina» (FF 593).

Nel 1208, attirati dal suo modo di vita, si associano a Francesco i primi compagni e con essi nel 1209 si reca a Roma per chiedere a Innocenzo III l’approvazione della loro forma di vita religiosa. Il Papa concede loro l’autorizzazione a predicare rimandando però a un secondo tempo l’approvazione della Regola: Andate con Dio, fratelli, e come Egli si degnerà ispirarvi, predicate a tutti la penitenza. Quando il Signore onnipotente vi farà crescere in numero e grazia, ritornerete lieti a dirmelo, ed io vi concederò con più sicurezza altri favori e uffici più importanti (FF 375).

Spinto dal desiderio di testimoniare Cristo nei paesi musulmani, Francesco tenta più volte di recarvisi. Finalmente nel 1219 raggiunge Damietta, in Egitto, dove, durante una tregua nei combattimenti della quinta crociata, viene ricevuto e protetto in persona dal Sultano al-Malik al-Kamil.
Rientrato ad Assisi nel 1220 Francesco rinuncia al governo dei frati a favore di uno dei suoi primi seguaci: Pietro Cattani. Non rinuncia però ad esserne la guida spirituale come testimoniano i suoi scritti.
Il 30 maggio 1221 si radunò in Assisi il capitolo detto "delle stuoie" al quale partecipò un numero davvero rilevante di frati (dai 3000 ai 5000), si discusse il testo di una Regola da sottoporre all’approvazione della Curia romana e fu nominato frate Elia vicario generale al posto di Pietro Cattani, morto il 10 marzo di quell'anno.
La Regola (conosciuta come "Regola non bollata") discussa e approvata dal capitolo del 1221 fu respinta dalla Curia romana perché troppo lunga e di carattere scarsamente giuridico. Dopo un processo di revisione del testo, al quale collaborò il cardinale Ugolino d'Ostia (il futuro papa Gregorio IX), il 29 novembre 1223 finalmente Onorio III approva con la bolla Solet annuere la Regola dell’Ordine dei Frati Minori (detta "Regola bollata").

Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio, Francesco volle rievocare la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell'evento per vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato [il Bambino nato a Betlemme] per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello (FF468). È da questo episodio che ebbe poi origine la tradizione del presepe.
Dopo il capitolo di Pentecoste del 1224 Francesco si ritirò con frate Leone sul monte della Verna per celebrarvi una quaresima in onore di san Michele Arcangelo. Lì, la tradizione dice il 17 settembre, Francesco avrebbe avuto la visione del serafino, al termine della quale nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso (FF 485). L’episodio è confermato dall’annotazione di frate Leone sulla chartula autografa di Francesco (attualmente conservata in un reliquiario presso il Sacro Convento di Assisi): Il beato Francesco, due anni prima della sua morte, fece una quaresima sul monte della Verna…e la mano di Dio fu su di lui mediante la visione del serafino e l’impressione delle stimmate di Cristo nel suo corpo (FF p. 176 nota).
«Laudate et benedicite mi Signore, et rengratiatelo et serviatelo cum grande humilitate»

San Francesco
Nell’ultimo biennio di vita di Francesco si colloca anche la composizione del Cantico di frate sole (o Cantico delle creature). Sono anni questi in cui Francesco è sempre più tribolato dalla malattia (soffriva di gravi disturbi al fegato e di un tracoma agli occhi). Quando le sue condizioni si aggravarono in maniera definitiva Francesco fu riportato alla Porziuncola, dove morì nella notte fra il 3 e il 4 ottobre 1226. Il giorno seguente il suo corpo, dopo una sosta presso San Damiano, fu portato in Assisi e venne sepolto nella chiesa di San Giorgio.
Frate Francesco d’Assisi fu canonizzato il 19 luglio 1228 da Papa Gregorio IX. Il 25 maggio 1230 la sua salma fu infine trasferita dalla chiesa di San Giorgio e tumulata nell'attuale Basilica di San Francesco fatta costruire celermente da frate Elia su incarico di Gregorio IX tra il 1228 e il 1230.

venerdì 26 dicembre 2014

Buon Santo Stefano






Santo Stefano, è denominato Protomartire (Primo Martire) perchè è stato il primo Cristiano ad essere ucciso per testimoniare la propria fede in Cristo e per la diffusione del Vangelo.
Il giovane Stefano apparteneva alla prima Comunità Cristiana, sorta dopo la morte di Gesù, che applicava integralmente la “carità fraterna”, infatti i suoi appartenenti mettevano i loro beni in comune con gli altri e ad ognuno veniva distribuito equamente quanto bastava per loro sostentamento.
Quando la comunità crebbe, gli Apostoli nominarono sette “ministri della carità” chiamati Diaconi ai quali affidarono il servizi di assistenza giornaliera e Stefano fu il primo dei sette diaconi scelti dagli apostoli perché li aiutassero nel ministero sacerdotale.
Tra questi spiccava il giovane Stefano che, oltre ad occuparsi dell’amministrazione dei beni comuni, si prodigava nella propagazione della fede predicando e parlando ai suoi concittadini.
Naturalmente come prima di lui Gesù si fece molti nemici, in modo particolare fra i Sacerdoti del Tempio di Gerusalemme.
Storia di Santo StefanoIl luogo del martirio di Stefano a Gerusalemme è tradizionalmente collocato poco fuori della Porta di Damasco, a nord, dove ora sorge appunto la chiesa di Saint-Étienne accanto alla nota École Biblique dei Domenicani.
Dagli Atti degli Apostoli risulta che alla morte di Stefano, intorno al 36 d.C.,, fu seguita da una persecuzione locale contro i discepoli di Gesù, la prima verificatasi nella storia della Chiesa che spinse il gruppo dei cristiani giudeo-ellenisti a fuggire da Gerusalemme e a disperdersi.
Cacciati da Gerusalemme, essi si trasformarono in missionari itineranti: «Quelli che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la Parola di Dio» (At 8,4).
La persecuzione e la conseguente dispersione diventano Missione ed il Vangelo si propagò nella Samaria, nella Fenicia e nella Siria fino alla grande città di Antiochia, dove secondo l’evangelista Luca, fu annunciato per la prima volta anche ai pagani (cfr At 11,19-20) e dove pure risuonò per la prima volta il nome di «cristiani» (At 11,26).
Da allora il 26 Dicembre, giorno dopo Natale, divenne la Festa del Primo Martire, prima fra i “Comites Christi” coloro i quali erano stati più vicini alla manifestazione di Cristo risorto e ne resero testimonianza, e poi fra tutti i Cristiani. perchè per primi ne resero testimonianza.
Il martirio di Stefano descritto dagli Atti degli Apostoli risulta che fra coloro che assistettero alla lapidazione vi era Paolo di Tarso (Saulo) prima della conversione.
Saulo, il futuro San Paolo, testimone della lapidazione, ne raccoglierà l’eredità spirituale diventando Apostolo delle genti.
Ci sono molte storie circa il ritrovamento delle reliquie di Santo Stefano e sembra che intorno al 400 con il ritrovamento dei resti del Santo, la devozione per il Primo Martire è diventa molto viva e si è diffusa fino ai giorni nostri.

lunedì 21 aprile 2014

Lunedì Dell'Angelo

“lunedì dell’angelo” prende il nome dal fatto che in questo giorno si ricorda l'incontro dell'angelo con le donne giunte al sepolcro.
Il Vangelo racconta infatti che Maria di Magdala, madre di Giacomo, Giuseppe e Salome andarono al sepolcro, dove Gesù era stato sepolto,
con degli olii aromatici per imbalsamare il corpo di Gesù.
Trovarono il grande masso che chiudeva l'accesso alla tomba spostato; le tre donne smarrite e preoccupate cercavano di capire cosa
fosse successo, quando apparve loro un angelo che disse:
“Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui! è risorto come aveva detto; venite a vedere il luogo
dove era deposto” . E aggiunse: “Ora andate ad annunciare
questa notizia agli Apostoli”, e
si precipitarono a raccontare l'accaduto agli altri.

STORIA DELLA TRADIZIONE DEL PIC NIC

Il lunedì dell'Angelo  è un giorno di festa che generalmente si trascorre insieme a parenti o amici con una tradizionale
gita o scampagnata, pic-nic sull'erba e attivitàall'aperto.
Una interpretazione di questa tradizione potrebbe essere che si voglia ricordare i discepoli diretti ad Emmaus.
Infatti, lo stesso
giorno della Resurrezione, Gesù appare a due discepoli in
cammino verso Emmaus a pochi chilometri da Gerusalemme: per ricordare quel viaggio dei due discepoli si trascorrerebbe il
giorno di Pasquetta facendo una passeggiata o una
scampagnata “fuori le mura” o “fuori porta”

domenica 20 ottobre 2013

Oggi Celebrazione -San Paolo della Croce

Amore doloroso, dolore amoroso e gioia


La Passione di Gesù è per san Paolo della Croce “il miracolo dei miracoli del Divino Amore”. “Al santo premeva molto – osserva Martin Bialas – spie­gare che nella contemplazione di Cristo crocifisso, l’ani­ma non recepisce l’amore e il dolore come due effetti indipendenti fra loro, ma l’amore è impregnato di dolore e il dolore di amore”. Ecco come compendia questa dot­trina in una lettera alla Gandolfi nel 1743: “L’amore è virtù unitiva e fa proprie le pene dell’Ama­to Bene. Se vi sentite tutta penetrata di dentro e di fuori dalle pene dello Sposo, fate festa;ma vi posso dire che questa festa si fa nella fornace del Divino Amore, perché il fuoco che penetra fin nelle midolla delle ossa trasforma l’amante nell’amato, e mischiandosi con alto modo l’amore col dolore, il dolore con l’amore, si fa un misto amoroso e doloroso, ma tanto unito che non si distingue né l’amore dal dolore né il dolore dall’amore, tanto che l’anima amante gioisce nel suo dolore e fa festa nel suo doloroso amore” (LII, 440).

In questo brano appare sia il richiamarsi dialettico dell’a­more e del dolore, sia l’unità dell’amante con l’amato, sia ancora l’unione di tutto questo con la festa e la gioia. Esso ci introduce nel senso che ha per Paolo l’invito ad andare oltre le immagini nel far memoria della Passio­ne… Si tratta di penetrare nel mistero della croce che è al tempo stesso umiliazione e gloria, via e meta. A volte Dio, per suo dono, infonde nelle anime le pene della Passione di Gesù “in nuda fede”. E allora che si entra ancor più profondamente in questo ¿nistero di amore e di dolore. Chiudiamo con un luminoso brano che il Fondatore scrive al caro discepolo P. Giammaria Cioni nel 1756. In esso è evidente il legame fra la dottrina della Passione e la definizione che san Giovanni dà di Dio come carità:

“Il punto che lei non capisce, di farsi sue per opera di amore le pene santissime del dolce Gesù, glielo farà capi­re sua Divina Maestà quando le piacerà. Questo è un lavoro tutto divino; l’anima tutta immersa nell’amore puro, senza immagini, in purissima e nuda fede, in un momento si trova pure immersa nel mare delle pene del Salvatore ed in un’occhiata di fede le intende tutte, senza intendere, poiché la Passione di Gesù è opera tutta di amore; e stando l’anima tutta perduta in Dio che è carità, che è tutt’amore, si fa un misto d’amore e di dolore, poiché lo spi­rito ne resta tutto pene­trato e sta tutto immer­so in un amore doloroso e in un dolore amoroso: È opera di Dio!”

Il principe dei desolati


Così Paolo della Croce è stato definito dagli studiosi. Tanto Rosa Calabresi quanto P. Giammaria Cioni parlano di cinquant’anni di desolazione di Paolo. Lo stesso Paolo affermava qualcosa di simile quando diceva: “Per quanto mi ricordo da cinquant’anni non ho passato un solo giorno senza sofferenze. Si legge di certe anime che sono state nel crogiuolo cinque, dieci o quindici anni, quanto a me io non posso pensare a quanto ho sofferto; ne fremo”. Al discepolo e confesso­re P. Giammaria Cioni scrive espressioni assai drammati­che intorno allo stato in cui lui si trova: “Le devo doman­dar perdono se qualche volta scrivo qualche parola secca, malsonante; poiché mi creda che sono in uno stato deplorabilissimo e Dio guardi tutto il mondo da tale stato; ma giustamente soffro queste cose… Vi sono giorni, e sono quasi tutti, che non so come fare a soffri­re me stesso; eppure mi sforzo, e con gran fatica, a sof­frire gli altri, ma sempre manco; onde perdoni questo povero uomo” (L III, 1812).

Padre Bretón fa profonde considerazioni intorno al “nudo patire” di cui Paolo parla spesso, un patire privo di qual­siasi consolazione. Non si tratta di una sofferenza prove­niente da calunnie o persecuzioni, ma dal rapporto con Dio che patisce violenza. Altre volte è sommerso dal peso delle colpe che vede in se stesso. A sentir lui, egli merite­rebbe la morte per le sue gravi infedeltà. Vorrebbe essere sotto i piedi dei demoni come se li superasse in malizia. Al limite estremo, egli sperimenta un non senso generaliz­zato che spegne le ragioni per vivere e fiacca l’agire, un non senso che lo terrorizza per come gli appare in contra­sto con Dio autore della vita. Da questo nudo patire sgor­gano in lui gli insegnamenti che egli dà ad altre anime, dopo averne sperimentato in se stesso la validità: “Non desideri alcun conforto, ma il puro beneplacito di Dio. Se ne stia in quel nudo patire in sacro silenzio di fede e non si lamenti né di dentro né di fuori. Al più faccia qualche gemito da bambina, ad esempio di Gesù Cristo nell’orto: “Sì, o Padre, perché così è pia­ciuto a te” (Mt 11,26). Seguiti poi a stare in silenzio di fede e si lasci martirizzare dal santo amore, giacché il suo stato presente è un prezioso martirio d’amore, che si fa dal santo amore con povertà e nudità di spirito, sempre accompagnate dalle spade di angustie e di abbandonameli” (L III, 806-807). “Tale sacro martirio produce nell’anima due mirabili effetti: uno è di purificarla da ogni neo di imperfezio­ne come fa il fuoco del purgatorio. Il secondo è di arricchire l’anima di virtù, massime di pazienza, di mansuetudine, di alta rassegnazione alla divina volontà, con profonda cognizione del proprio orribile nulla. In tal forma l’anima, tutta inabitata nel suo niente, patisce e tace e lascia sparire il suo niente in Dio e gode di patire e tacere” (L 111,816).

Partecipe della Passione di Cristo


Il messaggio centrale della vita e della predicazione di Paolo è questo: si vive per partecipare alla Passione di Gesù e così entrare nella sua stessa gloria. Paolo della Croce, però, è ben cosciente della forza che hanno i meccanismi dell’io per accaparrare e strumenta­lizzare tutto, non esclusi gli stessi doni che Dio dà perché si faccia un cammino di fede. “La nostra guasta natura – scrive ai suoi religiosi – diviene ladra dei doni di Dio, cosa al sommo pericolosa e perniciosa” (L IV, 226). Scrivendo alla signora Marianna Girelli, nel 1768. Paolo esprime meravigliosamente l’esperienza spirituale che lui stesso ha fatto:

“Bisogna morire misticamente a tutto; il non sentire le inclinazioni naturali e i moti delle passioni, che non muoiono mai sinché non moriamo noi, non è cosa di questo tempo, ma bisogna aspettare con pazienza la visita del Sovrano Padrone… E se le inclinazioni natu­rali e i moti delle passioni non muoiono del tutto, resta­no però talmente mortificati che non sono di impedi­mento alla quiete sopradolcissima della santa contem­plazione e si cominciano a provare gli effetti di quella santa morte mistica che è più preziosa della vita, poiché l’anima vive in Dio una vita deifica” (L III, 756). Alcuni si illudono di partecipare alla Passione di Gesù con una pietà sentimentale e con belle parole. Paolo sa che alla Passione di Gesù ci si unisce soltanto attraverso la nostra propria passione: umiliazioni, sofferenze, maldi­cenze e calunnie. La sofferenza ha essenzialmente questa funzione nell’economia della salvezza: permetterci di unire la nostra vita con la vita di Gesù. Come la vita di Gesù è essenzialmente mistero, così lo è la vita di ogni cristiano. Questo viene espresso molto bene da una composizione poetica di Paolo diretta alla Grazi nell’anno 1743:

Nella croce il sant’Amore Perfeziona l’alma amante, Quando fervida e costante Gli consacra tutto il cuore.

Oh se io sapessi dire Quel tesoro alto e divino Che il gran Dio Uno e Trino Ha riposto nel patire! Ma perché è un grand’arcano All’amante sol scoperto Io che non sono esperto Sol l’ammiro da lontano.

Fortunato è quel cuore Che sta in croce abbandonato. Nelle braccia dell ‘Amato Brucia sol di sant’Amore. Ancor più è avventurato Chi nel suo nudo patire Senza ombra di gioire Sta in Cristo trasformato.

Oh felice chi patisce Senza attacco al suo patire, Ma sol vuol a sé morire Per più amar chi lo ferisce!

Io ti do questa lezione Dalla croce di Gesù, Ma l’imparerai tu più Nella santa orazione. Amen

Sono versi semplici e popolari, ma pieni di sapienza mistica, nata dall’esperienza interiore. Stando sulla croce, Paolo insegna la via della croce. Gli studiosi moderni hanno messo in rilievo l’importanza della partecipazione alla Passione per Paolo, collegandola ai notevoli studi recenti fatti sulla filosofia e teologia della partecipazione.

P. Adolfo Lippi