Visualizzazione post con etichetta ricorrenza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ricorrenza. Mostra tutti i post

sabato 23 maggio 2015

Sergio Mattarella, discorso sulla ricorrenza della Strage di Capaci



l testo integrale del discorso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha pronunciato nell’Aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo in occasione del 23mo anniversario della strage di Capaci, in memoria del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta:
“Un saluto al Presidente del Senato, ai Ministri intervenuti, alla Presidente della Commissione antimafia, al Vicepresidente del Csm, al presidente della Corte dei Conti, al procuratore nazionale Antimafia, a tutte le autorità che hanno partecipato a questa iniziativa di ricordo, nel corso della quale è stato firmato un documento molto importante che – mi auguro – rafforzerà nelle scuole l’educazione alla legalità e la conoscenza della nostra Costituzione.
Un saluto particolare e un ringraziamento di cuore va alla professoressa Maria Falcone, che ha avuto la forza di trasformare il dolore più grande in una straordinaria energia civile, la quale, a sua volta, ha generato altra passione, creatività, responsabilità; e tutto ciò ha preso forma in reti diffuse di cittadinanza attiva.

Un saluto caloroso, e un ringraziamento speciale, rivolgo ai giovani presenti e a quelli che sono collegati in altre piazze d’Italia: voi rappresentate il futuro e la speranza.
Le numerose associazioni che valorizzano l’impegno sociale di questi giovani – e che abbiamo ascoltato con grande attenzione – sono organi vitali, indispensabili per il Paese.
Siamo qui, a Palermo, per fare memoria di un evento tragico, che ha segnato la recente storia italiana, registrando una profonda ferita allo Stato democratico.
Le immagini dell’attentato di Capaci resteranno per sempre impresse nei nostri occhi, come nel primo momento, così come quelle, altrettanto sconvolgenti, di via D’Amelio.
I nomi, i volti, gli esempi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino – dei quali serbo un intenso ricordo personale – sono indissolubilmente legati dal comune impegno e dai valori che, insieme, hanno testimoniato e dalla coraggiosa battaglia, per la legalità e la democrazia, che hanno combattuto, affidando a tutti noi il compito di proseguirla.
Desidero che, neanche per un attimo, nel ricordo, venga collocato in secondo piano il martirio degli altri servitori dello Stato, Francesca Morvillo, magistrato e moglie di Giovanni Falcone, unita a lui anche nell’impegno per la giustizia, gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, che persero la vita tra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992.

E a questo ricordo intendo unire quello di tutte le vittime delle mafie, di alcune delle quali si è parlato, su questo palco e nei vari collegamenti, che, tutte, rimangono nel cuore e nella coscienza della nostra Italia.
Fare memoria però non è soltanto un omaggio doveroso a donne e uomini di grande valore. La memoria di Falcone e di Borsellino comprende, per noi, la ribellione civile all’oppressione mafiosa che, da quei drammatici giorni, da Palermo e dalla Sicilia, ha avuto un enorme sviluppo.
Comprende la reazione dello Stato che ha condotto a importanti successi. Comprende le riforme legislative e ordinamentali che sono state adottate proprio seguendo le intuizioni e le proposte di Falcone e Borsellino. Comprende infine la preziosa vitalità della società italiana che non si rassegna a vedere umiliata la propria dignità, e che, in questi anni, ha continuato a mobilitare le coscienze e a rigenerare energie positive, attraverso tante iniziative politiche, sociali, educative, culturali.

Carissimi giovani, noi siamo qui, anzitutto, per dire che la mafia può essere sconfitta.
Siamo qui per rinnovare una promessa: batteremo la mafia, la elimineremo dal corpo sociale perché è incompatibile con la libertà e l’ umana convivenza. E perché l’azione predatoria delle varie mafie ostacola lo sviluppo, impoverisce i territori, costituisce una zavorra non solo per il Sud ma per tutta l’Italia.
La memoria di Falcone e di Borsellino è tutt’uno con questo impegno e con questa speranza. Impegno da affrontare insieme, con spirito di solidarietà e con un rigore, nei comportamenti, da applicare anzitutto a noi stessi.

Dobbiamo guardare sempre con spirito di verità alla realtà che ci circonda, anche quando la realtà è sgradevole. Ciò a cui non possiamo rinunciare è la riscossa civile.
Non possiamo rinunciare, non potete rinunciare ad essere costruttori di una società migliore, la quale inevitabilmente passa per la partecipazione larga del nostro popolo, per la possibilità che le sue molteplici energie, solidali e democratiche, si possano esprimere con libertà effettiva.
Dobbiamo unire sempre più, contro la mafia, tutte le energie positive. E trarre il meglio da noi stessi e da chi ci sta vicino.
Sconfiggere per sempre le mafie è un’impresa alla nostra portata, ma, per raggiungere questo traguardo, è necessario un salto in avanti che dobbiamo compiere come collettività.

Giovanni Falcone aveva chiaro in mente che un salto di qualità era necessario. Falcone divenne bersaglio della mafia perché aveva capito che per combatterla occorreva qualcosa di più che essere un onesto e bravo magistrato. Occorrevano un metodo e una professionalità particolari. Occorreva conoscere i complessi meccanismi dell’organizzazione, le sue dinamiche interne e, dunque, la pseudocultura che la lega, attraverso varie forme di connivenza, al proprio entroterra.
Da magistrato sapeva bene che la repressione penale era indispensabile, e che anzi doveva essere molto più efficace, e sempre più adeguata, per riaffermare il primato dello Stato: nella partita tra Stato e anti-Stato va sempre messo in chiaro che lo Stato alla fine deve vincere. Senza eccezioni.

Dalle sue idee sono venute nuove risposte legislative e nuovi metodi di indagine. Sono nate le Direzioni distrettuali antimafia e la Procura nazionale antimafia. Sono state elaborate nuove discipline, riguardo la ricerca e la tutela delle fonti di prova, le misure cautelari, le intercettazioni ambientali e telefoniche.
Falcone ebbe il grande merito, con coraggio e determinazione, di istruire il primo maxi-processo contro la mafia, indicando, così, che la mafia non era la somma di tanti fenomeni locali separati ma un grande pericolo per la Repubblica e per la sua democrazia.
Pur con tutto questo impegno – che lo portò ad essere indicato dalla mafia come il nemico numero uno – Giovanni Falcone era comunque consapevole che l’azione repressiva e quella giudiziaria, da sole, non sono sufficienti per debellare definitivamente questa piaga.

Accanto all’attività di prevenzione e repressione, affidata a magistrati e ad agenti delle Forze dell’ordine che, in prima fila con coraggio, spesso rischiano la propria vita, è necessaria un’azione forte e convergente su vari versanti. Su quello delle istituzioni politiche e amministrative, in cui correttezza, trasparenza ed efficienza chiudano spazi alle infiltrazioni e alle influenze mafiose. Sul versante economico-sociale, perché un tessuto sociale robusto, e tranquillo per il lavoro, si difende meglio dalle pressioni criminali. Su quello culturale ed educativo, con una costante formazione delle coscienze, individuali e collettive, che custodiscano il senso della legalità.
Su questo piano, oggi abbiamo ascoltato testimonianze importanti. Che danno una grande forza. La battaglia per la legalità e per la Costituzione, cari giovani, può esser vinta perché è nelle nostre mani. Noi possiamo ripulire e rendere chiaro quello sfondo torbido, su cui il cancro criminale ha costruito la propria ricchezza e il proprio potere, derubando tanta gente di opportunità, di futuro e di vita.

Con una scelta singolare si è deciso di inserire alcune attività illegali nel calcolo ufficiale del Pil dei vari Paesi europei: possiamo dire tranquillamente che, se perdessimo le quote di prodotto interno relative al traffico della droga o al contrabbando, ne guadagneremmo molto di più in attività capaci di creare migliore lavoro e sviluppo.
La presenza di organizzazioni criminali è favorita dall’area grigia dell’illegalità, dalla convinzione che si possa fare a meno di un rigoroso e costante rispetto delle regole. Mafia, illegalità, corruzione non sono sempre la stessa cosa, ma si alimentano a vicenda. Per battere il cancro mafioso bisogna affermare la cultura della Costituzione, cioè del rispetto delle regole, sempre e dovunque, a partire dal nostro agire quotidiano.
Questo ho sentito dire oggi da voi. E questo ha un grande valore, morale, sociale, ma anche economico.

Stiamo vivendo, finalmente, dopo la crisi economica più dura e più lunga dal dopoguerra, una stagione segnata da una tendenza positiva in tutta Europa. Alla crescita che si inizia a registrare nelle Regioni del Nord e del Centro non corrispondono però indicatori simili nel Mezzogiorno d’Italia.
Le distanze interne al nostro Paese si stanno pericolosamente allargando. Tra il Nord e il Sud. Tra i più ricchi e i più poveri. I giovani senza lavoro sono un numero intollerabile per un Paese civile. Sono fratture che ci interrogano come nazione e che dobbiamo affrontare da Paese unito.

La nuova questione meridionale è una questione nazionale perché da essa dipende il nostro futuro e la collocazione dell’Italia in Europa. Senza una nuova crescita delle Regioni del Sud, l’Italia finirà in coda all’Unione europea. Senza un investimento nell’innovazione nel Sud, e nei suoi giovani, la possibilità stessa di un nuovo sviluppo sostenibile sarà molto indebolita anche nel resto d’Italia.
E senza sviluppo, senza fiducia, il rischio delle mafie sarebbe destinato a crescere.
Per compiere questo salto molto dipende dalle politiche pubbliche, comprese quelle europee – considerato che i fenomeni criminali più gravi superano agevolmente i confini nazionali – ma molto dipende anche dalla società. Dalle forze che risulteranno trainanti. Dai valori che prevarranno. Molto dipenderà dall’affermazione della legalità. In tutti gli ambiti della vita sociale.

Due giorni addietro il Parlamento ha approvato una legge per contrastare con più efficacia la corruzione. Non spetta al Presidente della Repubblica valutarne il merito. Osservo che, anche da parte di coloro che sollecitano misure ulteriori, si riconosce il passo avanti compiuto.
A voi, ragazzi, voglio dire che le leggi sono importanti, che i passi avanti meritano di essere sottolineati, che l’azione di contrasto dello Stato, e la trasparenza dei suoi atti, sono condizioni irrinunciabili per vincere questa battaglia.
Ma vorrei dirvi anche che non dobbiamo mai dimenticare le nostre responsabilità di cittadini, non dobbiamo dimenticare i nostri doveri, che crescono anche in relazione alla crescita dei nostri diritti.

L’illegalità, l’opacità, l’opportunismo colpevole a volte mettono radici anche in ambiti imprevisti. A volte inquinano anche settori che dovrebbero esserne immuni.
Il calcio, ad esempio, che tanti di voi seguono con attenzione. Che mafie di varia natura cerchino di modificare il risultato delle partite e di lucrare sulle scommesse è una vergogna. Questa metastasi va estirpata con severità e rapidità. Non possiamo accettare che la bellezza dello sport, la crescita dei giovani e un divertimento degli italiani vengano così stravolti e sporcati. Le istituzioni dello sport non devono commettere alcun errore di sottovalutazione.

Cari ragazzi, oggi abbiamo parlato non di come rilanciare una città o una Regione, ma di come far germogliare una nuova primavera italiana. Serve un impegno corale.
Vanno aperte le porte ai giovani. Nessuno deve averne paura. Diceva Giovanni Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Quelle idee, quelle speranze, ragazzi, hanno bisogno delle vostre gambe. Buon cammino a tutti noi!”



sabato 4 ottobre 2014

San Francesco

 
 
04 Ottobre
 

San Francesco d'Assisi Patrono d'Italia
Francesco nacque ad Assisi nel 1182, nel pieno del fermento dell'età comunale. Figlio di mercante, da giovane aspirava a entrare nella cerchia della piccola nobiltà cittadina. Di qui la partecipazione alla guerra contro Perugia e il tentativo di avviarsi verso la Puglia per partecipare alla crociata. Il suo viaggio, tuttavia, fu interrotto da una voce divina che lo invitò a ricostruire la Chiesa. E Francesco obbedì: abbandonati la famiglia e gli amici, condusse per alcuni anni una vita di penitenza e solitudine in totale povertà. Nel 1209, in seguito a nuova ispirazione, iniziò a predicare il Vangelo nelle città mentre si univano a lui i primi discepoli insieme ai quali si recò a Roma per avere dal Papa l'approvazione della sua scelta di vita. Dal 1210 al 1224 peregrinò per le strade e le piazze d'Italia e dovunque accorrevano a lui folle numerose e schiere di discepoli che egli chiamava frati, fratelli. Accolse poi la giovane Chiara che diede inizio al secondo ordine francescano, e fondò un terzo ordine per quanti desideravano vivere da penitenti, con regole adatte per i laici. Morì nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1228. Francesco è una delle grandi figure dell'umanità che parla a ogni generazione. Il suo fascino deriva dal grande amore per Gesù di cui, per primo, ricevette le stimmate, segno dell'amore di Cristo per gli uomini e per l'intera creazione di Dio.

Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco

Martirologio Romano: Memoria di san Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra.
http://www.santiebeati.it/dettaglio/21750
Nel suo 'Testamento' scritto poco prima di morire, Francesco annotò: “Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo”.
Per questo è considerato il più grande santo della fine del Medioevo; egli fu una figura sbocciata completamente dalla grazia e dalla sua interiorità, non spiegabile per niente con l'ambiente spirituale da cui proveniva.
Ma proprio a lui toccò in un modo provvidenziale, di dare la risposta agli interrogativi più profondi del suo tempo.
Avendo messo in chiara luce con la sua vita i principi universali del Vangelo, con una semplicità e amabilità stupefacenti, senza imporre mai nulla a nessuno, ebbe un influsso straordinario, che dura tuttora, non solo nel mondo cristiano ma anche al di fuori di esso.
Origini e gioventù
Francesco, l'apostolo della povertà, in effetti era figlio di ricchi, nacque ad Assisi nei primi del 1182 da Pietro di Bernardone, agiato mercante di panni e dalla nobile Giovanna detta “la Pica”, di origine provenzale. Secondo le Fonti Francescane la nascita potrebbe però datarsi all'estate o all'autunno 1181.
In omaggio alla nascita di Gesù, la religiosissima madonna Pica, volle partorire il bambino in una stalla improvvisata al pianterreno della casa paterna, in seguito detta “la stalletta” o “Oratorio di s. Francesco piccolino”, ubicata presso la piazza principale della città umbra.
La madre in assenza del marito Pietro, impegnato in un viaggio di affari in Provenza, lo battezzò con il nome di Giovanni, in onore del Battista; ma ritornato il padre, questi volle aggiungergli il nome di Francesco che prevarrà poi sul primo.
Questo nome era l'equivalente medioevale di 'francese' e fu posto in omaggio alla Francia, meta dei suoi frequenti viaggi e occasioni di mercato; disse s. Bonaventura suo biografo: “per destinarlo a continuare il suo commercio di panni franceschi”; ma forse anche in omaggio alla moglie francese, ciò spiega la familiarità con questa lingua da parte di Francesco, che l'aveva imparata dalla madre.
Crebbe tra gli agi della sua famiglia, che come tutti i ricchi assisiani godeva dei tanti privilegi imperiali, concessi loro dal governatore della città, il duca di Spoleto Corrado di Lützen.
Come istruzione aveva appreso le nozioni essenziali presso la scuola parrocchiale di San Giorgio e le sue cognizioni letterarie erano limitate; ad ogni modo conosceva il provenzale ed era abile nel mercanteggiare le stoffe dietro gli insegnamenti del padre, che vedeva in lui un valido collaboratore e l'erede dell'attività di famiglia.
Non alto di statura, magrolino, i capelli e la barbetta scura, Francesco era estroso ed elegante, primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate, spendendo con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei conviti) che lo poneva alla direzione delle feste.
Combattente e sua conversione
Con la morte dell'imperatore di Germania Enrico IV (1165-1197) e l'elezione a papa del card. Lotario di Segni, che prese il nome di Innocenzo III (1198-1216), gli scenari politici cambiarono; il nuovo papa sostenitore del potere universale della Chiesa, prese sotto la sua sovranità il ducato di Spoleto compresa Assisi, togliendolo al duca Corrado di Lützen.
Ciò portò ad una rivolta del popolo contro i nobili della città, asserviti all'imperatore e sfruttatori dei loro concittadini, essi furono cacciati dalla rocca di Assisi e si rifugiarono a Perugia; poi con l'aiuto dei perugini mossero guerra ad Assisi (1202-1203).
Francesco, con lo spirito dell'avventura che l'aveva sempre infiammato, si buttò nella lotta fra le due città così vicine e così nemiche.
Dopo la disfatta subita dagli assisiani a Ponte San Giovanni, egli fu fatto prigioniero dai perugini a fine 1203 e restò in carcere per un lungo terribile anno; dopo che i suoi familiari ebbero pagato un consistente riscatto, Francesco ritornò in famiglia con la salute ormai compromessa.
La madre lo curò amorevolmente durante la lunga malattia; ma una volta guarito egli non era più quello di prima, la sofferenza aveva scavato nel suo animo un'indelebile solco, non sentiva più nessuna attrattiva per la vita spensierata e i suoi antichi amici non potevano più stimolarlo.
Come ogni animo nobile del suo tempo, pensò di arruolarsi nella cavalleria del conte Gualtiero di Brenne, che in Puglia combatteva per il papa; ma giunto a Spoleto cadde in preda ad uno strano malessere e la notte ebbe un sogno rivelatore con una voce misteriosa che lo invitava a “servire il padrone invece che il servo” e quindi di ritornare ad Assisi.
Colpito dalla rivelazione, tornò alla sua città, accolto con preoccupazione dal padre e con una certa disapprovazione di buona parte dei concittadini.
Lasciò definitivamente le allegre brigate per dedicarsi ad una vita d'intensa meditazione e pietà, avvertendo nel suo cuore il desiderio di servire il gran Re, ma non sapendo come; andò anche in pellegrinaggio a San Pietro in Roma con la speranza di trovare chiarezza.
Ritornato deluso ad Assisi, continuò nelle opere di carità verso i poveri ed i lebbrosi, ma fu solo nell'autunno 1205 che Dio gli parlò; era assorto in preghiera nella chiesetta campestre di San Damiano e mentre fissava un crocifisso bizantino, udì per tre volte questo invito: “Francesco va' e ripara la mia chiesa, che come vedi, cade tutta in rovina”.
Pieno di stupore, Francesco interpretò il comando come riferendosi alla cadente chiesetta di San Damiano, pertanto si mise a ripararla con il lavoro delle sue mani, utilizzando anche il denaro paterno.
A questo punto il padre, considerandolo ormai irrecuperabile, anzi pericoloso per sé e per gli altri, lo denunziò al tribunale del vescovo come dilapidatore dei beni di famiglia; notissima è la scena in cui Francesco denudatosi dai vestiti, li restituì al padre mentre il vescovo di Assisi Guido II, lo copriva con il mantello, a significare la sua protezione.
Il giovane fu affidato ai benedettini con la speranza che potesse trovare nel monastero la soddisfazione alle sue esigenze spirituali; i rapporti con i monaci furono buoni, ma non era quella la sua strada e ben presto riprese la sua vita di “araldo di Gesù re”, indossò i panni del penitente e prese a girare per le strade di Assisi e dei paesi vicini, pregando, servendo i più poveri, consolando i lebbrosi e ricostruendo oltre San Damiano, le chiesette diroccate di San Pietro alla Spira e della Porziuncola.
La vocazione alla povertà e l'inizio della sua missione
Nell'aprile del 1208, durante la celebrazione della Messa alla Porziuncola, ascoltando dal celebrante la lettura del Vangelo sulla missione degli Apostoli, Francesco comprese che le parole di Gesù riportate da Matteo (10, 9-10) si riferivano a lui: “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. E in qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se ci sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza”.
Era la risposta alle sue preghiere e domande che da tempo attendeva; comprese allora che le parole del Crocifisso a San Damiano non si riferivano alla ricostruzione del piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi membri; depose allora i panni del penitente e prese la veste “minoritica”, cingendosi i fianchi con una rude corda e coprendosi il capo con il cappuccio in uso presso i contadini del tempo e camminando a piedi scalzi.
Iniziò così la vita e missione apostolica, sposando “madonna Povertà” tanto da essere poi definito “il Poverello di Assisi”, predicando con l'esempio e la parola il Vangelo come i primi apostoli.
Francesco apparve in un momento particolarmente difficile per la vita della Chiesa, travagliata da continue crisi provocate dal sorgere di movimenti di riforma ereticali e lotte di natura politica, in cui il papato era allora uno dei massimi protagonisti.
In
Dettagli foto

giovedì 1 novembre 2012

Festività e storia D'OgniSanti

Si celebra oggi la festa di Ognissanti, conosciuta anche come festa di Tutti i Santi. E' una ricorrenza che esalta in un unico giorno la gloria e l'onore di tutti i Santi, anche quelli non canonizzati. La festa cattolica cade, appunto, il 1º novembre di ogni anno, seguita il giorno seguente dalla Commemorazione dei Defunti.