domenica 10 agosto 2014

San Lorenzo

Storia e leggenda intorno a un Santo giovane e spavaldo. Una notte a naso all’insù a caccia di stelle cadenti
San Lorenzo, io lo so perché tanto / di stelle per l’aria tranquilla / arde e cade, perché sì gran pianto / nel concavo cielo sfavilla.

Piange il cielo, per Giovanni Pascoli, sulla malvagità che abita la terra; e le sfavillanti Perseidi – per la credenza popolare le lacrime del santo martire, arso vivo a Roma il 10 agosto del 258 – sono anche il compianto funebre per la morte del padre Ruggero, ucciso con un colpo di fucile, nella notte fra il 10 e l’11 agosto, mentre tornava a casa da una giornata di mercato.

Lorenzo era nato in Spagna, a Osca, oggi Huesca, alle falde dei Pirenei aragonesi, nel 225, ma sono poche e poco documentate le notizie sulla sua vita e contraddittorie quelle sulla sua morte. Completa assai giovane gli studi umanistici e teologici a Saragozza, allievo di quello che diverrà poi papa Sisto II. Insieme con lui lascia la Spagna per Roma. Qui il suo maestro, alla morte di Stefano I, viene eletto vescovo dell’Urbe e papa il 31 agosto del 257.

Lorenzo ha 32 anni. Il nuovo papa lo fa arcidiacono e in quella veste gli assegna la responsabilità delle opere di carità nella diocesi di Roma. Sono oltre 1.500, fra poveri e vedove, i bisognosi di cui Lorenzo si occupa. Una moltitudine, se la si compara alla popolazione della città, enormemente ridotta rispetto ai numeri che aveva conosciuto nel massimo splendore dell’impero. Già prima che Sisto ascenda al soglio pontificio, l’Imperatore Valeriano pubblica un primo editto di persecuzione contro i cristiani. Nonostante ciò, per almeno un anno, l’opera pastorale di Sisto e l’intensa attività di Lorenzo si svolgono senza eccessivi intoppi.

Ma nei primi giorni dell’agosto del 258, un nuovo più feroce editto di Valeriano ordina l’immediata messa a morte di tutti i vescovi, presbiteri e diaconi e la confisca dei beni in loro disponibilità a favore dell’erario imperiale.

Immagine1.pngSisto fu il primo a cadere, decapitato, insieme con sei dei suoi diaconi, il 6 agosto.

La leggenda, diffusamente alimentata dal quell’Ambrogio vescovo di Milano nel suo De Officiis, narra dell’incontro di Lorenzo con il suo vescovo condotto al martirio. Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti, o santo vescovo, senza il tuo diacono?, esclama Lorenzo, rivendicando il diritto di morire con lui, se non prima di lui o addirittura in sua vece.

E ricorda l’esempio di Abramo che offrì a Dio il sacrificio del figlio Isacco o quello di san Pietro, che si fece precedere nella testimonianza di fede dal giovinetto protomartire Stefano.

Solo la risposta di Sisto, che gli assicura che a lui saranno riservate ben presto prove anche più aspre, acquieta l’ansia eroica del nostro santo.

A Lorenzo si offrì salva la vita purché consegnasse i tesori della Chiesa entro tre giorni.

Alla scadenza del 10 agosto, dunque, il santo si presenta seguito dalla turba dei diseredati cui presta assistenza ogni giorno: Ecco – egli dice – questi sono i nostri tesori. Sono tesori eterni, non vengono mai meno, che anzi aumentano sempre, alludendo al fatto che sempre vi saranno uomini e donne offesi dal bisogno e dalla miseria. Fu subito catturato, si procedette alla sua esecuzione e Lorenzo fu posto su una graticola e bruciato vivo.

Questa la tradizione, della quale non vi è, però, alcuna certezza; che anzi molti sono gli storici che sostengono che venisse invece decapitato. Ma tant’è. L’iconografia tradizionale e quella ufficiale ritraggono il Santo con la palma del martirio e la graticola che indica la tecnica del supplizio. E si racconta che il santo, con allegra spavalderia da giovane spaccone, si rivolgesse ai suoi aguzzini invitandoli a girarlo sulla graticola che “da questa parte son già cotto; giratemi e poi mangiatemi!”

Ancora la memoria popolare, che sempre si nutre delle più sfrenate fantasie, testimonia che il corpo del santo, ben cotto, fu distribuito tra i poveri perché se ne cavassero la fame, quasi ultimo atto della sua quotidiana pratica di carità. Al momento che spirava, si dice poi che un soldato romano raccogliesse uno straccio intriso di alcune gocce di sangue e grasso, che colavano dalla graticola, recandolo poi al paese che allora da allora si chiamò Castrum Sancti Laurentii, oggi Amaseno, nel frusinate. Naturalmente il patrono di Amaseno è San Lorenzo e qui, ogni 10 agosto, si ripete il miracolo della liquefazione del sangue che intride la sacra reliquia, né più né meno di quel che accade con il sangue di San Gennaro.

Patrono di Grosseto, che gli dedica il Duomo d’impianto romanico; patrono di Roma, sia pure in compagnia di Pietro e Paolo e anche di Perugia, con san Costanzo e sant’Ercolano e patrono di Rotterdam, San Lorenzo è protettore dei lavori che si fanno col fuoco: è il santo dei pompieri, dei lavoratori del vetro, dei cuochi, dei rosticcieri. Ama la notte, Lorenzo, non ne vede la tenebra: La mia notte non ha oscurità, ma tutte le cose divengono chiare nella luce, afferma nella sua Liturgia delle Ore, Vespri, 10 agosto. Forse anche per questa lucida visione delle cose, che sconfigge anche l’oscurità della notte, Lorenzo è patrono di bibliotecari e librai, custodi del sapere racchiuso nei libri.

Il popolo, si sa, spesso accompagna la devozione dei santi con le antiche credenze, percorse dal senso del magico. Così la notte di san Lorenzo è soprattutto la notte dei desideri, formulati in silenzio, il naso all’insù a caccia della brevissima scia della stella cadente che potrà esaudirli. Si ha un bel dire che no, quelle gocce di luce che solcano la notte non sono le lacrime di san Lorenzo né le faville che si sprigionano dai carboni del fuoco che lo martirizza; e che sono, invece, banali meteoriti che nell’attraversare l’atmosfera terrestre s’incendiano per l’attrito e si consumano rapidissime.

Se la notte è serena, ogni 10 agosto lo sguardo della gente fruga il cielo notturno e ciascuno cerca la stella cui affidare qualche modesto, riposto desiderio.

(M.Torrigiani)


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