domenica 20 ottobre 2013

Oggi Celebrazione -San Paolo della Croce

Amore doloroso, dolore amoroso e gioia


La Passione di Gesù è per san Paolo della Croce “il miracolo dei miracoli del Divino Amore”. “Al santo premeva molto – osserva Martin Bialas – spie­gare che nella contemplazione di Cristo crocifisso, l’ani­ma non recepisce l’amore e il dolore come due effetti indipendenti fra loro, ma l’amore è impregnato di dolore e il dolore di amore”. Ecco come compendia questa dot­trina in una lettera alla Gandolfi nel 1743: “L’amore è virtù unitiva e fa proprie le pene dell’Ama­to Bene. Se vi sentite tutta penetrata di dentro e di fuori dalle pene dello Sposo, fate festa;ma vi posso dire che questa festa si fa nella fornace del Divino Amore, perché il fuoco che penetra fin nelle midolla delle ossa trasforma l’amante nell’amato, e mischiandosi con alto modo l’amore col dolore, il dolore con l’amore, si fa un misto amoroso e doloroso, ma tanto unito che non si distingue né l’amore dal dolore né il dolore dall’amore, tanto che l’anima amante gioisce nel suo dolore e fa festa nel suo doloroso amore” (LII, 440).

In questo brano appare sia il richiamarsi dialettico dell’a­more e del dolore, sia l’unità dell’amante con l’amato, sia ancora l’unione di tutto questo con la festa e la gioia. Esso ci introduce nel senso che ha per Paolo l’invito ad andare oltre le immagini nel far memoria della Passio­ne… Si tratta di penetrare nel mistero della croce che è al tempo stesso umiliazione e gloria, via e meta. A volte Dio, per suo dono, infonde nelle anime le pene della Passione di Gesù “in nuda fede”. E allora che si entra ancor più profondamente in questo ¿nistero di amore e di dolore. Chiudiamo con un luminoso brano che il Fondatore scrive al caro discepolo P. Giammaria Cioni nel 1756. In esso è evidente il legame fra la dottrina della Passione e la definizione che san Giovanni dà di Dio come carità:

“Il punto che lei non capisce, di farsi sue per opera di amore le pene santissime del dolce Gesù, glielo farà capi­re sua Divina Maestà quando le piacerà. Questo è un lavoro tutto divino; l’anima tutta immersa nell’amore puro, senza immagini, in purissima e nuda fede, in un momento si trova pure immersa nel mare delle pene del Salvatore ed in un’occhiata di fede le intende tutte, senza intendere, poiché la Passione di Gesù è opera tutta di amore; e stando l’anima tutta perduta in Dio che è carità, che è tutt’amore, si fa un misto d’amore e di dolore, poiché lo spi­rito ne resta tutto pene­trato e sta tutto immer­so in un amore doloroso e in un dolore amoroso: È opera di Dio!”

Il principe dei desolati


Così Paolo della Croce è stato definito dagli studiosi. Tanto Rosa Calabresi quanto P. Giammaria Cioni parlano di cinquant’anni di desolazione di Paolo. Lo stesso Paolo affermava qualcosa di simile quando diceva: “Per quanto mi ricordo da cinquant’anni non ho passato un solo giorno senza sofferenze. Si legge di certe anime che sono state nel crogiuolo cinque, dieci o quindici anni, quanto a me io non posso pensare a quanto ho sofferto; ne fremo”. Al discepolo e confesso­re P. Giammaria Cioni scrive espressioni assai drammati­che intorno allo stato in cui lui si trova: “Le devo doman­dar perdono se qualche volta scrivo qualche parola secca, malsonante; poiché mi creda che sono in uno stato deplorabilissimo e Dio guardi tutto il mondo da tale stato; ma giustamente soffro queste cose… Vi sono giorni, e sono quasi tutti, che non so come fare a soffri­re me stesso; eppure mi sforzo, e con gran fatica, a sof­frire gli altri, ma sempre manco; onde perdoni questo povero uomo” (L III, 1812).

Padre Bretón fa profonde considerazioni intorno al “nudo patire” di cui Paolo parla spesso, un patire privo di qual­siasi consolazione. Non si tratta di una sofferenza prove­niente da calunnie o persecuzioni, ma dal rapporto con Dio che patisce violenza. Altre volte è sommerso dal peso delle colpe che vede in se stesso. A sentir lui, egli merite­rebbe la morte per le sue gravi infedeltà. Vorrebbe essere sotto i piedi dei demoni come se li superasse in malizia. Al limite estremo, egli sperimenta un non senso generaliz­zato che spegne le ragioni per vivere e fiacca l’agire, un non senso che lo terrorizza per come gli appare in contra­sto con Dio autore della vita. Da questo nudo patire sgor­gano in lui gli insegnamenti che egli dà ad altre anime, dopo averne sperimentato in se stesso la validità: “Non desideri alcun conforto, ma il puro beneplacito di Dio. Se ne stia in quel nudo patire in sacro silenzio di fede e non si lamenti né di dentro né di fuori. Al più faccia qualche gemito da bambina, ad esempio di Gesù Cristo nell’orto: “Sì, o Padre, perché così è pia­ciuto a te” (Mt 11,26). Seguiti poi a stare in silenzio di fede e si lasci martirizzare dal santo amore, giacché il suo stato presente è un prezioso martirio d’amore, che si fa dal santo amore con povertà e nudità di spirito, sempre accompagnate dalle spade di angustie e di abbandonameli” (L III, 806-807). “Tale sacro martirio produce nell’anima due mirabili effetti: uno è di purificarla da ogni neo di imperfezio­ne come fa il fuoco del purgatorio. Il secondo è di arricchire l’anima di virtù, massime di pazienza, di mansuetudine, di alta rassegnazione alla divina volontà, con profonda cognizione del proprio orribile nulla. In tal forma l’anima, tutta inabitata nel suo niente, patisce e tace e lascia sparire il suo niente in Dio e gode di patire e tacere” (L 111,816).

Partecipe della Passione di Cristo


Il messaggio centrale della vita e della predicazione di Paolo è questo: si vive per partecipare alla Passione di Gesù e così entrare nella sua stessa gloria. Paolo della Croce, però, è ben cosciente della forza che hanno i meccanismi dell’io per accaparrare e strumenta­lizzare tutto, non esclusi gli stessi doni che Dio dà perché si faccia un cammino di fede. “La nostra guasta natura – scrive ai suoi religiosi – diviene ladra dei doni di Dio, cosa al sommo pericolosa e perniciosa” (L IV, 226). Scrivendo alla signora Marianna Girelli, nel 1768. Paolo esprime meravigliosamente l’esperienza spirituale che lui stesso ha fatto:

“Bisogna morire misticamente a tutto; il non sentire le inclinazioni naturali e i moti delle passioni, che non muoiono mai sinché non moriamo noi, non è cosa di questo tempo, ma bisogna aspettare con pazienza la visita del Sovrano Padrone… E se le inclinazioni natu­rali e i moti delle passioni non muoiono del tutto, resta­no però talmente mortificati che non sono di impedi­mento alla quiete sopradolcissima della santa contem­plazione e si cominciano a provare gli effetti di quella santa morte mistica che è più preziosa della vita, poiché l’anima vive in Dio una vita deifica” (L III, 756). Alcuni si illudono di partecipare alla Passione di Gesù con una pietà sentimentale e con belle parole. Paolo sa che alla Passione di Gesù ci si unisce soltanto attraverso la nostra propria passione: umiliazioni, sofferenze, maldi­cenze e calunnie. La sofferenza ha essenzialmente questa funzione nell’economia della salvezza: permetterci di unire la nostra vita con la vita di Gesù. Come la vita di Gesù è essenzialmente mistero, così lo è la vita di ogni cristiano. Questo viene espresso molto bene da una composizione poetica di Paolo diretta alla Grazi nell’anno 1743:

Nella croce il sant’Amore Perfeziona l’alma amante, Quando fervida e costante Gli consacra tutto il cuore.

Oh se io sapessi dire Quel tesoro alto e divino Che il gran Dio Uno e Trino Ha riposto nel patire! Ma perché è un grand’arcano All’amante sol scoperto Io che non sono esperto Sol l’ammiro da lontano.

Fortunato è quel cuore Che sta in croce abbandonato. Nelle braccia dell ‘Amato Brucia sol di sant’Amore. Ancor più è avventurato Chi nel suo nudo patire Senza ombra di gioire Sta in Cristo trasformato.

Oh felice chi patisce Senza attacco al suo patire, Ma sol vuol a sé morire Per più amar chi lo ferisce!

Io ti do questa lezione Dalla croce di Gesù, Ma l’imparerai tu più Nella santa orazione. Amen

Sono versi semplici e popolari, ma pieni di sapienza mistica, nata dall’esperienza interiore. Stando sulla croce, Paolo insegna la via della croce. Gli studiosi moderni hanno messo in rilievo l’importanza della partecipazione alla Passione per Paolo, collegandola ai notevoli studi recenti fatti sulla filosofia e teologia della partecipazione.

P. Adolfo Lippi


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