l testo integrale del discorso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha pronunciato nell’Aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo in occasione del 23mo anniversario della strage di Capaci, in memoria del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta:
“Un saluto al Presidente del Senato, ai Ministri intervenuti, alla Presidente della Commissione antimafia, al Vicepresidente del Csm, al presidente della Corte dei Conti, al procuratore nazionale Antimafia, a tutte le autorità che hanno partecipato a questa iniziativa di ricordo, nel corso della quale è stato firmato un documento molto importante che – mi auguro – rafforzerà nelle scuole l’educazione alla legalità e la conoscenza della nostra Costituzione.
Un saluto particolare e un ringraziamento di cuore va alla professoressa Maria Falcone, che ha avuto la forza di trasformare il dolore più grande in una straordinaria energia civile, la quale, a sua volta, ha generato altra passione, creatività, responsabilità; e tutto ciò ha preso forma in reti diffuse di cittadinanza attiva.
Un saluto caloroso, e un ringraziamento speciale, rivolgo ai giovani presenti e a quelli che sono collegati in altre piazze d’Italia: voi rappresentate il futuro e la speranza.
Le numerose associazioni che valorizzano l’impegno sociale di questi giovani – e che abbiamo ascoltato con grande attenzione – sono organi vitali, indispensabili per il Paese.
Siamo qui, a Palermo, per fare memoria di un evento tragico, che ha segnato la recente storia italiana, registrando una profonda ferita allo Stato democratico.
Le immagini dell’attentato di Capaci resteranno per sempre impresse nei nostri occhi, come nel primo momento, così come quelle, altrettanto sconvolgenti, di via D’Amelio.
I nomi, i volti, gli esempi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino – dei quali serbo un intenso ricordo personale – sono indissolubilmente legati dal comune impegno e dai valori che, insieme, hanno testimoniato e dalla coraggiosa battaglia, per la legalità e la democrazia, che hanno combattuto, affidando a tutti noi il compito di proseguirla.
Desidero che, neanche per un attimo, nel ricordo, venga collocato in secondo piano il martirio degli altri servitori dello Stato, Francesca Morvillo, magistrato e moglie di Giovanni Falcone, unita a lui anche nell’impegno per la giustizia, gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, che persero la vita tra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992.
E a questo ricordo intendo unire quello di tutte le vittime delle mafie, di alcune delle quali si è parlato, su questo palco e nei vari collegamenti, che, tutte, rimangono nel cuore e nella coscienza della nostra Italia.
Fare memoria però non è soltanto un omaggio doveroso a donne e uomini di grande valore. La memoria di Falcone e di Borsellino comprende, per noi, la ribellione civile all’oppressione mafiosa che, da quei drammatici giorni, da Palermo e dalla Sicilia, ha avuto un enorme sviluppo.
Comprende la reazione dello Stato che ha condotto a importanti successi. Comprende le riforme legislative e ordinamentali che sono state adottate proprio seguendo le intuizioni e le proposte di Falcone e Borsellino. Comprende infine la preziosa vitalità della società italiana che non si rassegna a vedere umiliata la propria dignità, e che, in questi anni, ha continuato a mobilitare le coscienze e a rigenerare energie positive, attraverso tante iniziative politiche, sociali, educative, culturali.
Carissimi giovani, noi siamo qui, anzitutto, per dire che la mafia può essere sconfitta.
Siamo qui per rinnovare una promessa: batteremo la mafia, la elimineremo dal corpo sociale perché è incompatibile con la libertà e l’ umana convivenza. E perché l’azione predatoria delle varie mafie ostacola lo sviluppo, impoverisce i territori, costituisce una zavorra non solo per il Sud ma per tutta l’Italia.
La memoria di Falcone e di Borsellino è tutt’uno con questo impegno e con questa speranza. Impegno da affrontare insieme, con spirito di solidarietà e con un rigore, nei comportamenti, da applicare anzitutto a noi stessi.
Dobbiamo guardare sempre con spirito di verità alla realtà che ci circonda, anche quando la realtà è sgradevole. Ciò a cui non possiamo rinunciare è la riscossa civile.
Non possiamo rinunciare, non potete rinunciare ad essere costruttori di una società migliore, la quale inevitabilmente passa per la partecipazione larga del nostro popolo, per la possibilità che le sue molteplici energie, solidali e democratiche, si possano esprimere con libertà effettiva.
Dobbiamo unire sempre più, contro la mafia, tutte le energie positive. E trarre il meglio da noi stessi e da chi ci sta vicino.
Sconfiggere per sempre le mafie è un’impresa alla nostra portata, ma, per raggiungere questo traguardo, è necessario un salto in avanti che dobbiamo compiere come collettività.
Giovanni Falcone aveva chiaro in mente che un salto di qualità era necessario. Falcone divenne bersaglio della mafia perché aveva capito che per combatterla occorreva qualcosa di più che essere un onesto e bravo magistrato. Occorrevano un metodo e una professionalità particolari. Occorreva conoscere i complessi meccanismi dell’organizzazione, le sue dinamiche interne e, dunque, la pseudocultura che la lega, attraverso varie forme di connivenza, al proprio entroterra.
Da magistrato sapeva bene che la repressione penale era indispensabile, e che anzi doveva essere molto più efficace, e sempre più adeguata, per riaffermare il primato dello Stato: nella partita tra Stato e anti-Stato va sempre messo in chiaro che lo Stato alla fine deve vincere. Senza eccezioni.
Dalle sue idee sono venute nuove risposte legislative e nuovi metodi di indagine. Sono nate le Direzioni distrettuali antimafia e la Procura nazionale antimafia. Sono state elaborate nuove discipline, riguardo la ricerca e la tutela delle fonti di prova, le misure cautelari, le intercettazioni ambientali e telefoniche.
Falcone ebbe il grande merito, con coraggio e determinazione, di istruire il primo maxi-processo contro la mafia, indicando, così, che la mafia non era la somma di tanti fenomeni locali separati ma un grande pericolo per la Repubblica e per la sua democrazia.
Pur con tutto questo impegno – che lo portò ad essere indicato dalla mafia come il nemico numero uno – Giovanni Falcone era comunque consapevole che l’azione repressiva e quella giudiziaria, da sole, non sono sufficienti per debellare definitivamente questa piaga.
Accanto all’attività di prevenzione e repressione, affidata a magistrati e ad agenti delle Forze dell’ordine che, in prima fila con coraggio, spesso rischiano la propria vita, è necessaria un’azione forte e convergente su vari versanti. Su quello delle istituzioni politiche e amministrative, in cui correttezza, trasparenza ed efficienza chiudano spazi alle infiltrazioni e alle influenze mafiose. Sul versante economico-sociale, perché un tessuto sociale robusto, e tranquillo per il lavoro, si difende meglio dalle pressioni criminali. Su quello culturale ed educativo, con una costante formazione delle coscienze, individuali e collettive, che custodiscano il senso della legalità.
Su questo piano, oggi abbiamo ascoltato testimonianze importanti. Che danno una grande forza. La battaglia per la legalità e per la Costituzione, cari giovani, può esser vinta perché è nelle nostre mani. Noi possiamo ripulire e rendere chiaro quello sfondo torbido, su cui il cancro criminale ha costruito la propria ricchezza e il proprio potere, derubando tanta gente di opportunità, di futuro e di vita.
Con una scelta singolare si è deciso di inserire alcune attività illegali nel calcolo ufficiale del Pil dei vari Paesi europei: possiamo dire tranquillamente che, se perdessimo le quote di prodotto interno relative al traffico della droga o al contrabbando, ne guadagneremmo molto di più in attività capaci di creare migliore lavoro e sviluppo.
La presenza di organizzazioni criminali è favorita dall’area grigia dell’illegalità, dalla convinzione che si possa fare a meno di un rigoroso e costante rispetto delle regole. Mafia, illegalità, corruzione non sono sempre la stessa cosa, ma si alimentano a vicenda. Per battere il cancro mafioso bisogna affermare la cultura della Costituzione, cioè del rispetto delle regole, sempre e dovunque, a partire dal nostro agire quotidiano.
Questo ho sentito dire oggi da voi. E questo ha un grande valore, morale, sociale, ma anche economico.
Stiamo vivendo, finalmente, dopo la crisi economica più dura e più lunga dal dopoguerra, una stagione segnata da una tendenza positiva in tutta Europa. Alla crescita che si inizia a registrare nelle Regioni del Nord e del Centro non corrispondono però indicatori simili nel Mezzogiorno d’Italia.
Le distanze interne al nostro Paese si stanno pericolosamente allargando. Tra il Nord e il Sud. Tra i più ricchi e i più poveri. I giovani senza lavoro sono un numero intollerabile per un Paese civile. Sono fratture che ci interrogano come nazione e che dobbiamo affrontare da Paese unito.
La nuova questione meridionale è una questione nazionale perché da essa dipende il nostro futuro e la collocazione dell’Italia in Europa. Senza una nuova crescita delle Regioni del Sud, l’Italia finirà in coda all’Unione europea. Senza un investimento nell’innovazione nel Sud, e nei suoi giovani, la possibilità stessa di un nuovo sviluppo sostenibile sarà molto indebolita anche nel resto d’Italia.
E senza sviluppo, senza fiducia, il rischio delle mafie sarebbe destinato a crescere.
Per compiere questo salto molto dipende dalle politiche pubbliche, comprese quelle europee – considerato che i fenomeni criminali più gravi superano agevolmente i confini nazionali – ma molto dipende anche dalla società. Dalle forze che risulteranno trainanti. Dai valori che prevarranno. Molto dipenderà dall’affermazione della legalità. In tutti gli ambiti della vita sociale.
Due giorni addietro il Parlamento ha approvato una legge per contrastare con più efficacia la corruzione. Non spetta al Presidente della Repubblica valutarne il merito. Osservo che, anche da parte di coloro che sollecitano misure ulteriori, si riconosce il passo avanti compiuto.
A voi, ragazzi, voglio dire che le leggi sono importanti, che i passi avanti meritano di essere sottolineati, che l’azione di contrasto dello Stato, e la trasparenza dei suoi atti, sono condizioni irrinunciabili per vincere questa battaglia.
Ma vorrei dirvi anche che non dobbiamo mai dimenticare le nostre responsabilità di cittadini, non dobbiamo dimenticare i nostri doveri, che crescono anche in relazione alla crescita dei nostri diritti.
L’illegalità, l’opacità, l’opportunismo colpevole a volte mettono radici anche in ambiti imprevisti. A volte inquinano anche settori che dovrebbero esserne immuni.
Il calcio, ad esempio, che tanti di voi seguono con attenzione. Che mafie di varia natura cerchino di modificare il risultato delle partite e di lucrare sulle scommesse è una vergogna. Questa metastasi va estirpata con severità e rapidità. Non possiamo accettare che la bellezza dello sport, la crescita dei giovani e un divertimento degli italiani vengano così stravolti e sporcati. Le istituzioni dello sport non devono commettere alcun errore di sottovalutazione.
Cari ragazzi, oggi abbiamo parlato non di come rilanciare una città o una Regione, ma di come far germogliare una nuova primavera italiana. Serve un impegno corale.
Vanno aperte le porte ai giovani. Nessuno deve averne paura. Diceva Giovanni Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Quelle idee, quelle speranze, ragazzi, hanno bisogno delle vostre gambe. Buon cammino a tutti noi!”
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